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LAURA MICHELI E CARLOTTA FERLITO: LE GINNASTE, SACRIFICI DA SCRICCIOLI

Pubblichiamo un articolo uscito su “Repubblica D” con la storia di Laura Micheli, ginnasta alle Olimpiadi di Londra 1948 e Carlotta Ferlito, che parteciperà alle Olimpiadi di Londra 2012. Storie e differenze a confronto tra due epoche diverse.

Due pianeti lontani: Londra 1948 e Londra 2012. Alle prime Olimpiadi del dopoguerra, con le strade ricche di macerie e povere di cibo, parteciparono 4.104 atleti e 59 nazioni. Oggi saranno 10.500 da 204 Paesi. Gli “Austerity Games”, organizzati in due anni, costarono 77 milioni di sterline attuali, queste più di 9 miliardi. I XIV Giochi arrivavano a 12 anni dai precedenti, e il corrispondente della Stampa Carlo Maria Franzero sintetizzò così la diffe

renza con Berlino ’36: «Quei pazzi nazisti avevano un occhio sicuro per lo spettacolo e il coreografico. Le Olimpiadi di Londra passeranno invece agli annali per la tirchieria… A Napoli direbbero: le nozze con i fichi secchi».

Per arrivare a Londra nel 1948 gli atleti della Nuova Zelanda impiegarono cinque settimane di nave e si era già sull’orlo di una crisi di nervi, tra la prima guerra arabo-israeliana, il Blocco di Berlino, la Corea e l’attentato a Togliatti. Germania e Giappone non vennero invitati, l’Urss non mandò atleti per non sfigurare con gli americani e la Cina non raggiunse neanche una finale. Nei primi dodici posti del medagliere gli unici non europei o statunitensi furono i turchi, settimi. Oggi gli eroi più attesi sono star miliardarie e globali come Usain Bolt, Michael Phelps e Neymar. Allora, nonostante le donne fossero appena il 10 per cento, la grande protagonista (quattro ori) fu una mamma olandese di tre bambini, Fanny Blankers-Koen, “The Flying Housewife”. Eppure fu un successo. Londra ricordò a tutti che l’Opa del nazismo sul mondo era stata respinta, e si poteva ricominciare a sognare.

In comune, un nemico: la trave. E tanti sacrifici. Laura Micheli, 80 anni, durante la guerra attraversava tutta Trieste per andare ad allenarsi. Carlotta Ferlito, 17 anni, a 12 ha lasciato Catania e la famiglia e si è trasferita a Milano per inseguire il suo sogno. La prima vinse un argento e un bronzo ai Giochi del ’48, dove era l’atleta più giovane tra gli azzurri. Carlotta, argento ai mondiali 2011, si prepara per le Olimpiadi dopo aver vinto l’oro nel test event di Londra a gennaio.

Perchè la ginnastica?

Micheli: «Venivo da una famiglia di sportivi. Provai anch’io, e per una ragazzina di Trieste la Società Ginnastica era un punto di riferimento».

Ferlito: «Mia madre voleva che facessi sport. Ho cominciato a sei anni, dividendomi all’inizio con il nuoto sincronizzato».

Ore di allenamento?

M: «Due-tre al giorno, quattro volte alla settimana».

F: «Sei ore, sei giorni a settimana».

Come si mantiene economicamente un atleta?

M: «Non guadagnavo nulla. Se vincevo al massimo mi dicevano brava. Facevo le magistrali, e il preside mi guardava male quando saltavo le lezioni. Se avevo degli sponsor? Ma scherza?!».

F: «A parte i soldi delle vittorie e dei due sponsor, la Federazione mi paga allenamenti, residence e scuola».

Il vostro mito?

M: «Allora non avevamo la tv (la prima volta che ne vidi una fu a Londra), e non conoscevamo gli stranieri. Il mio mito era un ginnasta di Trieste, un bel ragazzo che però era già occupato…».

F: «La mia rivale russa Viktoria Komova, che ha la mia età e spero che vinca le Olimpiadi, se non ci riesco io…».

Scherzi con le compagne di squadra?

M: «No, eravamo delle “patate lesse”. Ma volevo tanto bene alla mia amica Norma Icardi, chissà che fine ha fatto. Mi piacerebbe risentirla, sono 60 anni che non so più niente di lei. (Fatto. L’abbiamo rintracciata e le abbiamo rimesse in contatto. Sì, tipo Carramba che sorpresa, ndr)».

F: «Nel residence in cui conviviamo, sì. Mentre a scuola purtroppo sono da sola. Qui al centro federale ogni giorno faccio 3-4 ore di lezioni individuali. Niente scherzi o distrazioni, e mai che possa pensare: “Speriamo che oggi venga interrogato qualcun’altro…”».

Appena prima della gara?

M: «Facevo una verticale per scaramanzia. Prima della finale mi venne male, e persi l’oro».

F: «Ascolto sempre l’iPod. Soprattutto la boy band degli One Direction».

Micheli, a Londra chi cerava con gli occhi nel pubblico?

M: «A guardarmi c’era il famoso giocatore di basket della Olimpia Milano Romeo Romanutti, che partecipava alle Olimpiadi con la nazionale e sarebbe diventato mio marito nel ’52. Eravamo fidanzati, ma non aveva ancora chiesto la mia mano. Evitai di guardarlo durante la finale, ma una compagna cretinetta mi disse: “Laura! C’è il Meo!”. E io mi emozionai».

Indossare la maglia azzurra fa sentire più italiani?

M: «Oggi tutti hanno la tuta con la scritta “Italia” sul petto. Ma allora, nel 1948, era motivo d’orgoglio. Soprattutto per me che venivo da Trieste, allora ancora “territorio libero” amministrato da angloamericani e jugoslavi».

F: «No, ma è una spinta in più».

Micheli, cosa ricorda della guerra?

M: «Che papà, scioccamente, pretendeva che quando suonavano gli allarmi corressimo a casa. Una volta mia madre ed io ci ritrovammo a correre disperate per Piazza dell’Unità d’Italia, con gli aerei che venivano dal mare e gettavano in acqua le prime bombe nel tentativo di colpire il porto».

Come fu il viaggio per Londra?

M: «In treno da Milano a Clais, e poi su una nave in cui fui l’unica a non vomitare l’anima. Di Londra mi ricordo che volevo vedere Piccadilly, ma non ci riuscii. E non ci sono più tornata».

La vostra dieta?

M: «Gli inglesi ci davano verdure, merluzzo, patate, tutto lessato e scondito. Per fortuna feci amicizia con una ginnasta americana, Helen Schifano. Erano pieni di ciboo, gli aerei paracadutavano persino il pane fresco, e la Schifano ci passò gli spaghetti».

In giro vi riconoscevano?

M: «Macché».

E a te, Carlotta?

F: «Sì, soprattutto dopo che ho partecipato al reality di Mtv (Ginnaste, ndr). Mi fermano e mi gridano: “Mamma mia, ma tu sei Carlotta!”».

Micheli, un consiglio per Carlotta?

M: «Non pensare che sei alle Olimpiadi, sennò ti tremano le gambe».

La vostra vita dopo la ginnastica?

M: «Ho avuto una figlia e sono diventata insegnante in una scuola. Da quando mio marito è morto faccio la vecchietta a tempo pieno».

F: «Certo non rimarrò nello sport. Anzi vorrei che mia figlia non facesse la ginnasta. Non le auguro i miei sacrifici, e non vorrei mai trovarmi nei panni di mia madre, a vivere tutta la vita lontana da sua figlia».